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Storia di vita elementare

Sull’immagine della madre per Egger-Lienz nel contesto dei suoi contemporanei

Carl Kraus (pubblicato in: Egger-Lienz e Otto Dix. Mondi di immagini tra le guerre, catalogo della mostra edito da Wolfgang Meighörner, red. Helena Perena, Astrid Flögel, Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum, Innsbruck 2019)

Nel giugno 1912 Egger-Lienz scrive all’amico Otto Kunz che per impegnarsi a fondo nel suo lavoro ha bisogno dell’intero ciclo vitale: “l’amore (concepimento), le madri, i bambini, la lotta, il pentimento e la comprensione. La calma dell’azione, e lo stesso Creatore universale. Intendo gli accordi fondamentali (storia di vita elementare) che toccano la mia anima e che possono soddisfare la mia voglia di creazione.”

Sono i pensieri di un pittore che, ispirato dallo spirito simbolistico del tempo, vuole rappresentare con la forza delle immagini le questioni sostanziali dell’esistenza, convinto che il destino di chiunque è soggetto a regole di validità generale. Ciò vale per uomini e donne che nella vita hanno entrambi compiti ben definiti. Il tema della madre, complessivamente centrale per l’esistenza umana e la natura, è un filo conduttore che attraversa tutte le opere dell’artista: dall’opera giovanile Heilige Nacht (Notte Santa) a quelle della fase centrale come Das Leben e Zeugung (La vita e Concepimento) fino alle Donne della guerra e alle tarde immagini mentali Madri e Pietà.

Studio della testa della donna a sinistra in “Mütter” (Madri), 1922 (Kirschl M 564; Bozner Kunstauktionen).

Appare evidente che la madre, la grande, prodigiosa creatrice che offre fin dall’inizio delle espressioni artistiche il tema basilare per la pittura e la scultura, rispecchia direttamente i mutamenti sociali ed è ripresa da innumerevoli artisti contemporanei di Egger-Lienz tra Realismo, Simbolismo, Espressionismo e Nuova oggettività, da Giovanni Segantini (1858–1899), Ferdinand Hodler (1853–1918) e Gustav Klimt (1862–1918) come pure da Max Beckmann (1884–1950), Otto Dix e Rudolf Wacker (1893–1939). L’interpretazione tipica di Egger-Lienz, in parte conservatrice e influenzata da antiche tradizioni contadine, che più tardi è in grado di far sua la cultura politica del nazionalsocialismo – scegliendone alcuni aspetti – appare evidente soprattutto a confronto con questi artisti. Diventa anche palese come lo straordinario sviluppo del pittore porta a messaggi senza tempo, lontanissimi da qualsiasi ideologia ruralista (vedi in merito: Zwischen Ideologie, Anpassung und Verfolgung. Kunst und Nationalsozialismus in Tirol, Catalogo Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum  Innsbruck 2018/2019).

 

“Mia madre era per me l’essenza dell’amore”

 In varie lettere indirizzate alla fidanzata Laura von Möllwald (1877–1967) all’inizio del 1898, nelle quali Egger-Lienz parla del suo passato, esordisce raccontando un avvenimento chiave che sembra rimasto impresso nella memoria dell’artista: una volta che aveva un grave mal di gola, la coppia di contadini presso la quale egli trascorse il primo anno di vita non si prese abbastanza cura di lui; la madre (adottiva), con le lacrime agli occhi, non poté più sopportare tanta insensibilità e decise quindi di prenderlo subito presso di sé e il padre (1835-1907). Franziska Rotschopf (1840–1896), che il padre di Egger-Lienz sposò pochi mesi dopo la nascita di quest’ultimo, non era la sua vera madre; egli lo apprenderà soltanto più tardi, quando frequentava da tempo l’Accademia di belle arti a Monaco. “Mia madre era per me l’essenza dell’amore, spesso addirittura ho avuto l’impressione che avesse per me una predilezione. Questa mia eccellente madre, infatti, volle annullare la reputazione di matrigna. Quando tornai a casa per la terza volta dall’Accademia per trascorrere lì le vacanze, mio padre durante una passeggiata mi parlò così: ‘Adesso sei abbastanza grande da poterti confidare faccende serie. Quella che hai sempre considerato tua madre non è la tua madre naturale. Tua madre, che è una donna meravigliosa, vive lontano, felicemente sposata, credo. Il destino non ha voluto che restassimo uniti per sempre […] non te l’abbiamo rivelato perché non dovessi mai avere l’impressione di non avere accanto la tua vera madre. E non è stato così, non è vero? Finora non hai avuto accanto una madre giusta e amorevole?’ Con tutto il cuore ho sentito di doverlo confermare, commosso, poiché mai una madre si è presa cura del figlio in modo altrettanto premuroso e amorevole”.

Egger-Lienz conserva con la madre adottiva, che lo tratta allo stesso modo dei suoi tre figli, uno stretto legame sino alla morte di questa.  Conoscerà la madre naturale Maria Trojer (1845–1914), figlia di contadini di Lienz, solo nel 1895 quando era gravemente malata e si trovava all’Ospedale maggiore di Milano. Anche con lei stringerà un rapporto affettuoso.

Egger-Lienz ha più volte ritratto sia la madre adottiva sia la madre naturale, quest’ultima tra l’altro in un disegno incisivo che risale al 1912; quest’ultimo si presta a un affascinante raffronto con l’opera Unsere Mutter (La nostra madre) di Rudolf Wacker, il suo migliore allievo a Weimar. Entrambe le opere mostrano semplici donne contadine, segnate dall’esistenza; il ritratto di Wacker, che appartiene a una generazione più giovane influenzata dall’Espressionismo e dalla Nuova Oggettività, mette in evidenza con più crudezza i tratti spigolosi.

Nelle lettere alla fidanzata, Egger-Lienz rivela anche la sua concezione del ruolo femminile, indubbiamente legata ai tempi: quanto è desiderabile – afferma – una donna che abbia il senso della casa, che ami il marito e dedichi ai figli un’educazione attenta. “Ho sempre l’impressione che una donna senza marito non possa mai adempiere ai compiti della sua vita; allo stesso modo, mi sembra che un uomo senza moglie non abbia nulla di giusto e soprattutto che sia un uomo a metà. Con che monotonia scorre la sua esistenza; non può mai rallegrarsi veramente di quello che è riuscito a raggiungere, forse con fatica, se sa di non avere accanto nessuno che condivide la sua gioia.” Nel terzo anno del suo matrimonio il pittore diventa ancora più concreto: “Sai, non mi servirebbe a niente una donna per così dire arguta, colta; un’intellettuale pedante è per me uno spavento, per non parlare poi di una pittrice so-tutto-io che vuole sempre avere l’ultima parola”. Se le allieve della “scuola di pittura per signore” diretta da Egger-Lienz tra il 1903 e 1904 Vienna, avessero letto questa sua osservazione, si sarebbero senz’altro divertite.

 

Buone madri, cattive madri

 In questo primo periodo viennese, Egger-Lienz riprende un tema che l’aveva già ispirato quindici anni prima. Nel 1888, a una mostra a Monaco vide per la prima volta il trittico di Fritz von Uhde La Notte Santa e fu profondamente impressionato dal suo carattere realistico e nel contempo intimo. Ma soltanto nel 1903 dipinse a sua volta la Notte Santa. Innanzitutto il pittore fece molti schizzi e studi separati – soprattutto nel Cadore e nella zona dolomitica – fino al dipinto finale, come era solito fare nel suo processo creativo. Prese come modello la composizione di Uhde ma la trasformò, del tutto in linea con la propria concezione figurativa, sostituendo anche il trittico con uno spazio unitario. Nell’immagine è notte, Maria e Gesù Bambino nella stalla sono immersi nella luce calda e magica di una lanterna, che rischiara anche lievemente l’immagine di Giuseppe, di una fanciulla e un pastore: un quadro scaturito da un sentimento profondo, anche perché l’artista prese come modello per Gesù bambino il figlio Fred (1903-1974), che era nato nel gennaio del 1903.

Con la Notte Santa Egger-Lienz creò nel contempo anche un’immagine ideale di madre con bambino, più tardi più volte ripresa e in netto contrasto con un’opera dipinta 10 anni prima da Giovanni Segantini, suo compatriota del Tirolo meridionale: Le cattive madri. In un freddo paesaggio nevoso, una donna dai capelli rossi, incinta e mezza nuda, con un neonato al seno, è impigliata tra i rami di un albero. È la rivalsa artistica nei confronti delle madri che non si prendono cura dei propri figli. Il quadro fu dipinto a causa di un trauma infantile vissuto dall’artista: da bambino Segantini aveva avuto meno fortuna di Egger-Lienz: perse la madre (e fratello) in tenera età e fu ripudiato dalla sorella.

 

Maschio e femmina

Se nella concezione del mondo di Egger-Lienz il maschio e la femmina occupano un posto ben definito, ciò è del tutto radicato nella sua origine influenzata dal cattolicesimo; la parola “femmina” che egli menziona per le sue opere ha un carattere tradizionale e biblico e contrasta con l’uso che ne fa Otto Dix. Quando Dix parla di “femmine”, lo fa perché predilige il tono diretto: “femmina” è per lui in generale la donna autodeterminata sul piano sessuale e in particolare la prostituita. Per lui i cosiddetti peccatori – la prostituita e i suoi clienti – sono anzi “i primi a essere ammessi in Paradiso”.

Nell’opera Wallfahrer (I pellegrini) che Egger-Lienz dipinge all’inizio della sua fase creativa intermedia di carattere monumentale e decorativo, uomini e donne sono quindi rigorosamente divisi. Attraverso una struttura di travi disposte a trittico vediamo sul lato sinistro le donne e sul lato destro gli uomini; al centro Gesù crocifisso è affiancato rispettivamente da una donna e da un uomo.

Nelle grandi opere seguenti, Egger-Lienz metterà sempre al centro l’uomo e la donna: per esempio nel dipinto monumentale creato alla fine del periodo viennese in seguito a vari schizzi, Das Leben (la vita) o Die Lebensalter (le età della vita): “Cinque figure di uomini e una femmina gravida. A grandezza naturale, tutti intenti a costruire una casa di travi […] dal ragazzo al vecchio (uomo novantenne), che entra nella fossa.” L’idea di questo quadro non è nuova: fu ad esempio realizzata già attorno al 1900 dal pittore finlandese Akseli Gallèn-Kallela (1865–1931), molto noto in Austria, che nel suo dipinto Nybygge/costruzione di una casa (1903) raffigura due uomini intenti a edificare una casa di travi e una donna che allatta in primo piano. Tuttavia, nessuno ha messo a punto questo motivo in modo tanto efficace quanto il pittore tirolese.

Questo carattere monumentale carico di contenuti simbolici ha ispirato esaurienti interpretazioni da parte di critici d’arte contemporanei e letterati. Si pensi alla recensione entusiastica del drammaturgo Franz Kranewitter (1860–1938), appartenente al movimento “Jungtirol”: egli riconosce nell’opera “il canto celebrativo e la parabola misteriosa dell’eterno divenire, il fiorire, il dare frutti, il venir meno, concepito e creato dallo stesso spirito da cui scaturì un tempo La notte di Michelangelo e altre figure colossali del monumento funebre di Papa Giulio II. La donna, che è in piedi vicino all’uomo in un atteggiamento di “infinita semplicità e sobrietà, di grazia acerba”, sa che cosa le è destinato. “Una devozione commovente, una pazienza dolce e materna, meravigliosamente espresse dalle parole rivolte all’Angelo: “Eccomi, io sono la serva del Signore” le traspare dal volto, che nonostante abbia tratti poco attraenti per non dire brutti, con la sua bontà e tolleranza infinita e incrollabile, brilla di una luce quasi ultraterrena e ci commuove profondamente. Da una parte, energica volontà, dall’altra accettazione rassegnata al dolore, attività e passività, i due poli della calamita, dissonanza e armonia, non ho mai trovato una rappresentazione più grande, semplice, incalzante ed eloquente di questa.” Più sobrio e distanziato è il commento del pittore e critico Max von Esterle (1870–1947) nella sua Kunstschau (mostra d’arte) pubblicata nella rivista Brenner: egli pone l’accento soprattutto sulle differenze tra il pittore tirolese e Ferdinand Hodler, suo opposto svizzero, dalla natura senza dubbio più ricca e differenziata, con un talento più vasto, maggiore ricchezza di mezzi e simbolismo più complesso; “ma Egger, il semplice, nato con la volontà del sobrio, con la sua interpretazione plastica, l’imparzialità maestosa e il misticismo elementare, ha un effetto molto più monumentale. In tal senso, Egger-Lienz è senza dubbio anche più monumentale di Gustav Klimt, che per le sue grandi composizioni sceglie talvolta motivi simbolistici simili (Le tre età [1905], Morte e Vita [1911–1915] ecc.), mostrando però una raffinatezza decorativa altamente estetica ed erotico-psicologica che è ancora più lontana da Egger-Lienz di quanto non sia l’interpretazione pur sempre “più indigena” di Hodler.

La vita sembra anche a Esterle il culmine dell’opera creativa di Egger-Lienz fino a questo momento; tutte le opere precedenti sono a suo avviso soltanto un “preludio”. Dal punto di vista odierno questa valutazione sembra del tutto esagerata; piuttosto, il quadro è esemplare per l’avvicinarsi cauto, dovuto alle convenzioni dell’epoca, ai suoi lavori successivi del tutto anticonformisti, nei quali anche l’elemento puramente pittorico ritrova la sua ragione d’essere.

 

Procreazione e nascita

Anche Entwurf zu Zeugung (Procreazione, un abbozzo) (1913/1914) creato da Egger-Lienz come parte del suo ciclo Storia elementare dell’esistenza, ispirato alle stagioni, una delle idee pittoriche più singolari del pittore tirolese, è in netto contrasto con le composizioni di Klimt. Su un letto è sdraiata una donna immobile e cadaverica, raffigurata in modo molto semplificato, come più tardi il Cristo morto nella Pietà, mentre sullo sfondo la figura sovradimensionale di un vecchio curvo in avanti simboleggia la fine del ciclo vitale, dal lato destro un uomo con le braccia spalancate si avvicina precipitosamente per compiere la procreazione. Tutta la scena sembra scaturita da un incubo; l’uomo e la donna compiono semplicemente il loro dovere, senza alcun erotismo, sottostando al destino, con la fine sempre davanti agli occhi.

Come prima rappresentazione del ciclo simbolo della primavera, Egger-Lienz progettava inizialmente la figura di una partoriente tra due donne sedute allo stesso modo, una intenta ad allattare; un motivo indubbiamente audace, che inserirà più avanti in forma astratta nell’opera L’uomo. Ma l’artista non porta a termine l’opera Werden (divenire, chiamato anche Geburt, nascita) e nemmeno Procreazione, e più avanti distrugge addirittura l’abbozzo. Fotografie contenute nel suo lascito permettono di valutare la coerenza con cui Egger-Lienz vi attuò le sue idee figurative. Nonostante tutto l’equilibrio della composizione che si basa sulla classica forma a triangolo, è un’opera straordinariamente espressiva e diretta. Vi manca però il realismo drastico che troviamo per esempio nell’opera di Otto Dix Geburt (nascita, 1927). Qui della partoriente è rappresentato da vicino il basso ventre con le gambe divaricate, il pube coperto solo da un lenzuolo, mentre il neonato ha ancora il cordone ombelicale azzurro attaccato.

 

Donne della guerra

Le donne compaiono anche nelle opere di Egger-Lienz dedicate alla prima guerra mondiale. Dopo la trilogia Ai Senzanome 1914, Missa eroica e Finale, nell’opera Donne della guerra (1918–1922) l’artista tratta un altro aspetto della guerra quasi sempre represso. Nella consapevolezza disillusa che la guerra ha significato per loro sopportazione, senza alcuna possibilità di partecipazione, nel dolore per i loro mariti e figli morti sul campo di battaglia, i volti delle donne appaiono impietriti come maschere di legno contratte dal dolore. Il pittore associa a questo messaggio radicale una rappresentazione altrettanto radicale. Più che in qualsiasi altra sua opera, Egger-Lienz combina qui l’irrigidimento della forma e la subordinazione rigorosa di tutte le parti dell’immagine a una composizione rigorosamente geometrica – due dei principi fondamentali nelle sue “composizioni spaziali” – con una deformazione del tutto finalizzata all’espressione e una frammentazione delle forme vicine al cubismo; come nelle immagini di guerra precedenti e nelle immagini mentali successive, mostra qui elementi avanguardisti di livello internazionale.

È interessante confrontare Donne della guerra per esempio con Frauenbad (bagno delle donne) di Max Beckmann, che risale anch’esso a subito dopo la fine della prima guerra mondiale. Il pittore tedesco si manifesta qui al culmine della sua fase espressiva: figure ammassate in un ristretto spazio scenico ripartito secondo i principi del cubismo. Il quadro mostra un bizzarro gruppo disordinato di donne di varia età in costume da bagno e bambini che gattonano e giocano in mezzo a loro, e anche una mamma con un bambino in braccio che si divincola alla stretta energica piagnucolando e storcendo il viso. In testa ha un cappellino di carta ricavato da fogli del giornale Vorwärts (avanti); il motto focoso sta anche a significare che il bambino, nonostante la distruzione per le strade, dopo l’orrore della guerra continua a sentirsi attratto da violenza, armi e uomini forti. In Donne della guerra manca un simile accento di critica sociale; ma a differenza delle precedenti figure di madre create da Egger-Lienz, e nonostante fosse stata acquistata nel 1941 dalla divisione del partito nazista “Reichsgau Kärnten”, anche questa rappresentazione non poté essere facilmente strumentalizzata dal potere nazista e assimilata all’ideologia della razza ariana e al culto della madre finalizzata a mettere al mondo una nuova generazione di soldati.

 

Madri, pietà

Le Donne della guerra segnano una fine e una svolta nell’evoluzione artistica del pittore; ma Egger-Lienz riprende spesso il tema della donna ovvero della madre anche nelle sue immagini mentali tarde, in cui la deformazione espressiva molto approfondita lascia il posto a uno sguardo interiore contemplativo mai raggiunto fino ad ora:  da Generationen (generazioni), di cui naturalmente fa parte una madre con bambino, a Madri (1922/1923) fino alla grandiosa conclusione di Pietà. La convinzione di Egger-Lienz, che tutti i mezzi creativi sottostiano a una “grande materia”– che contribuì non meno del suo tema contadino a emarginarlo nel panorama dell’arte contemporanea – acquista qui una nuova profondità.

Madri, che si collega per tema e composizione alle Donne della guerra, mostra di nuovo tre donne costrette ad arrangiarsi in assenza dei loro mariti morti sul fronte: una si trova in primo piano nell’immagine, un’altra guarda nella stanza attraverso la finestra, e una un po’ più giovane, leggermente più indietro tiene in grembo con tutte e due le mani un bambino in fasce. A differenza del quadro Donne della guerra il pittore aggiunge però un altro elemento figurativo, un crocefisso più grande del normale collocato diagonalmente nella stanza, che pare riposare sul ripiano del tavolo. È lui che dà sostegno nel bisogno: il primo biografo di Egger-Lienz, Josef Soyka, osserva: “Se già nelle Donne della guerra lo sguardo era distolto dal mondo, perso, l’espressione delle Madri va oltre e acquista addirittura un accento visionario: queste madri non sono più confuse da preoccupazioni terrene, che ormai da tempo ritengono inutili.”

La “Pietà” è l’ultimo tema su cui Egger-Lienz riflette e l’attuazione più coerente della sua volontà artistica, l’ultima condensazione di forma e contenuto. Tutto è ridotto all’essenziale; la rinuncia a una stilizzazione forzata dà luogo alla massima forza espressiva. Dal punto di vista iconografico l’opera appartiene di più alla tradizione del “compianto”: raffigura infatti tre donne che vegliano sulla salma di Cristo esposta su un tavolo. Il loro dolore è però molto trattenuto e lascia piuttosto il posto alla certezza che la morte del Nazareno dà alla loro vita il significato decisivo. Non si sa se una delle donne sia la madre; le tre rappresentano più che altro tutte le madri e donne.

Dichiara Rudolf Leopold in un’intervista: “La ricchezza sostanziale di Pietà si avvicina di più ai quadri giovanili di [Pablo] Picasso [1881–1973]. Sebbene quest’ultimo […] nel suo “periodo rosa” sia più avanti, Egger-Lienz raggiunse in quest’opera una ricchezza sostanziale anche maggiore.” Pietà era appeso proprio sopra il letto del grande collezionista. 14 anni dopo che lo tolse da lì e diede vita alla Fondazione Leopold, commentò: “ci sono ancora i cordoni e i ganci ai quali era fissato. Non ho ancora trovato un quadro che possa sostituirlo.”

Il pittore Leopold Hauer (1896–1984) si recò in visita da Egger-Lienz al Grünwaldhof a Santa Giustina, poco prima della sua morte. Quando gli chiese che cosa stesse lavorando, la risposta fu: “ho finito”. Queste parole non lasciano solo trasparire la rassegnazione e la stanchezza dell’uomo, segnato dalla malattia, ma anche la consapevolezza di aver detto quello che doveva dire. In particolare, anche sull’immagine della madre.

 Passaggi di lettere di Egger-Lienz citati da: Kirschl, Wilfried: Albin Egger-Lienz. Das Gesamtwerk, Wien-München 1996; Egger-Lienz, Ila: Mein Vater Albin Egger-Lienz, Thaur o. J. [1981]

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