Albin Egger-Lienz: ai Senzanome
Carl Kraus (pubblicato in: Trotzdem Kunst. Österreich 1914–1918. Catalogo della mostra, edito da Elisabeth Leopold, Peter Weinhäupl, Ivan Ristic‘ e Stefan Kutzenberger, Leopold Museum, Vienna 2014)
La prima guerra mondiale si disputò non soltanto con le armi, i cannoni e le bombe, ma anche con un fiume di immagini senza precedenti. Tuttavia, le raffigurazioni si riducono perlopiù a ritratti di soldati, parate militari, pattugliamenti, messe da campo, postazioni di artiglieria in roccia e ghiaccio ecc., che in Austria-Ungheria erano eseguite soprattutto dai “pittori di guerra” ufficialmente incaricati, che contribuivano alla macchina della propaganda nell’ambito dell’ufficio stampa di guerra imperiale e regio.
In mezzo a questo “impressionismo da trincea” di stampo convenzionale, spicca come un masso erratico un artista, autore dei dipinti Den Namenlosen 1914 (ai Senzanome 1914), Leichenfelder (campi di cadaveri), Missa eroica e Finale: è Albin Egger-Lienz.
Il primo contadino da “Totentanz” (Danza macabra), 1920/23 circa (Kirschl Z 561; Bozner Kunstauktionen 29, 19.5.2016, n. 61).
Già precedentemente Egger si era occupato a fondo del tema della guerra, e in particolare della lotta tirolese per la libertà del 1809, nella sua funzione di pittore storico di tarda vocazione. L’esperienza diretta con la guerra e la maturità artistica così acquisita lo portano però a una nuova dimensione di contenuti e rafforzano il suo caratteristico linguaggio formale plastico-monumentale, conferendogli un’espressività finora sconosciuta. Sono opere – come gli Ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus, che pure danno una voce al “soldato semplice, al Senzanome” (K. Kraus) – che resteranno nella memoria collettiva come testimonianze impietose della “catastrofe originaria del XX secolo.
Ai suoi inizi, la riflessione di Egger-Lienz sulla prima guerra mondiale è comunque perfettamente fedele al motto “per Dio, per l’Imperatore e per la Patria.”
“La coppia degli eredi al trono è morta. Il lutto dispiega le sue ali nere sopra il paese, riempie di lacrime gli occhi dei popoli, colpisce e scuote chiunque abbia ancora in sé un briciolo di umanità. Citando il Faust, si dovrebbe ben dire: tutto lo strazio dell’umanità mi afferra.
L’erede al trono e la sua consorte, il successore dell’impero, della potenza e dell’amore dei popoli dello Stato austriaco per casa regnante ereditaria sono morti, uccisi da colpi di pistola, assassinati da un sicario nazionalista prezzolato. Ci troviamo di fronte a un avvenimento che il cronista può riportare nel grande libro della storia solo tremando e rabbrividendo.” (Inserto straordinario dell’Allgemeiner Tiroler Anzeiger, 29.6.1914, pag. 1)
La notizia drammatica raggiunge Albin Egger-Lienz – nato nel 1868 a Stribach, nel Tirolo orientale, nel suo luogo di residenza a Santa Giustina presso Bolzano; è un periodo caratterizzato da intenso lavoro, come sempre nel suo caso, ma anche da preoccupazioni: poche settimane prima è venuto a mancare il suo più importante collezionista, il gastronomo viennese Franz Hauer. Ma anche l’erede al trono aveva un influsso non trascurabile sulla biografia del pittore: quattro anni prima, a causa della sua incomprensione assoluta dell’arte di Egger, aveva impedito che ottenesse una cattedra all’Accademia di Vienna.
“L’arciduca Francesco Ferdinando (il morto di Sarajevo), quando vide per la prima volta la Danza macabra, osservò con raro acume: ‘Se lo vedono i miei soldati, non ci seguono.’ Era l’anno 1909, quando la guerra fu evitata a malapena per la seconda volta. Questo impedì che Egger ottenesse la cattedra a Vienna. Ma Francesco Ferdinando aveva ragione. Questo Egger-Lienz era uno spirito inflessibile, indomabile. […] era una persona priva di spirito militare. Un essere simile al cavallo che si impenna di Delacroix.” (Georg Paech, Egger-Lienz. Im Sächsischen Kunstverein, in: Dresdner Neueste Nachrichten, 25.9.1927)
Il fermento che segue l’assassinio degli eredi al trono non impedisce ad Egger-Lienz di recarsi a Längenfeld nell’Ötztal già il 22 luglio, per cominciare degli studi per delle nuove edizioni dei dipinti Lavoro e Vecchi. Nemmeno una settimana più tardi, il 28 luglio, accade ciò che appare inevitabile.
“L’imperatore Francesco Giuseppe I ha emanato la seguente lettera autografa e manifesto […] Ai miei popoli! Sarebbe stato il mio più ardente desiderio dedicare gli anni che ancora mi sono concessi per grazia di Dio a opere di pace e risparmiare ai miei popoli i pesanti sacrifici e gli oneri della guerra. La Provvidenza ha deciso altrimenti. Le macchinazioni di un avversario pieno di odio Mi costringono a impugnare la spada per tutelare l’onore della Mia Monarchia, per difendere il suo prestigio e la sua posizione politica, per assicurarne la stabilità dopo tanti anni di pace.” (Innsbrucker Nachrichten, 29.7.1914, pag. 1)
Lo scoppio della guerra, che attraverso il meccanismo delle coalizioni europee si espande con rapidità, trasformandosi in conflitto mondiale e influenzando tutti gli aspetti della vita, suggestiona anche Egger-Lienz, tanto che questi dopo due settimane interrompe il soggiorno studio a Längenfeld e torna dalla famiglia a Santa Giustina. In un primo momento è ancora relativamente indisturbato dal precipitarsi degli eventi e può dedicarsi alle grandi composizioni che aveva cominciato, Der Mensch (l’uomo) e Die Alten (i vecchi). Altri, come i suoi colleghi pittori tirolesi Max von Esterle ed August Frech, nell’agosto 1914 sono già sul fronte galiziano con il reggimento di fanteria tirolese della milizia territoriale n. II, e sperimentano una delle prime disastrose sconfitte dell’esercito imperiale e regio durante la prima guerra mondiale.
“Nessuno di noi si sarebbe aspettato di dover ancora patire, in età ormai avanzata, tutte queste sofferenze fisiche e psicologiche. È spaventoso quanto la guerra riesca ad annientare, – e nonostante ciò ho la chiara sensazione che la punizione sia del tutto meritata. Abbiamo appena partecipato a due grandi battaglie, la metà delle truppe e degli ufficiali sono caduti [1800 di 3600], le nostre forze vanno scemando, il paese tutto intorno è distrutto a opera nostra.” (Max von Esterle, lettera a Ludwig von Ficker, 18.9.1914)
Quando parla di “punizione del tutto meritata”, Esterle allude a una tesi condivisa da molti intellettuali a cavallo tra i due secoli. Già nel primo manifesto del Futurismo del 1909 Filippo Tommaso Marinetti descrive la guerra come “sola igiene del mondo”, indispensabile purificazione della società borghese retrograda, materialista e meschina. Anche altri artisti ne sono convinti e si presentano come volontari al fronte: August Macke (caduto nella Champagne nel 1914), Otto Dix (più tardi pittore contro la guerra), Oskar Kokoschka (dopo la separazione da Alma Mahler), Fortunato Depero (il futurista trentino) ecc.
Le esperienze di questo intero periodo […] si possono soltanto paragonare a una grande avventura amorosa: a tal punto sono turbato e fuori di me. Essere fuori di sé, libero dai vincoli personali, dà un senso di grande felicità. E questa cosa più grande di noi è reale, non è soltanto un’idea” (Ernst Barlach, lettera del 29.8.1914)
Il bilancio complessivo della “campagna estiva” dell’esercito imperiale e regio in Galizia: a causa di giudizi errati e di attrezzature militari antiquate, di 800.000 soldati 250.000 sono caduti, feriti o dispersi, 110.000 sono stati fatti prigionieri, per non parlare delle enormi perdite di materiale bellico.
Prendendo spunto da avvenimenti come questi, Egger-Lienz fin dal novembre del 1914 matura l’idea di dipingere un primo quadro monumentale sulla guerra mondiale. È veramente una materia “grande”, che per Egger è sempre alla base di un’arte “intramontabile”.
«La “forma monumentale”, la spiritualizzazione della materia che diventa simbolo; senza però privare gli avvenimenti storici del terreno su cui dovrebbero svilupparsi, anzi, considerare la materia come l’elemento che feconda, impone, crea forma.» (Egger-Lienz, lettera al dott. Eisler, 26.2.1917, citazione di Kirschl come le lettere seguenti)
Ha in mente una prima opera sulla “grande guerra”, di cui non è nota l’esecuzione, come quadro patriottico inequivocabilmente propagandistico; ciò dimostra chiaramente quanto è ancora lunga la strada che Egger-Lienz dovrà percorrere come pittore di guerra.
“Ho intenzione di dipingere una nuova grande tavola, la più grande mai fatta finora: La guerra del 1914, lo schieramento d’assalto di Germania e Austria; al centro precede San Michele, brandendo la spada e la bilancia (tutto d’oro, armatura).” (Egger-Lienz, lettera a Otto Kunz, 3.11.1914)
Nel frattempo nella sua attività di pittore a Bolzano risente sempre di più delle conseguenze economiche della guerra, poiché il mercato dell’arte, come molti altri, crolla – i luoghi di esposizione, tra i quali la Künstlerhaus e la Secessione a Vienna sono stati trasformati in lazzaretti di fortuna – e si fa sentire sempre di più l’assenza del suo mecenate di un tempo, Franz Hauer. A causa delle condizioni finanziarie precarie, ma anche del senso di isolamento, Egger valuta addirittura la possibilità di trasferirsi a Monaco, “il terreno adatto” per lui e per la sua arte; prima, però, vorrebbe ancora aspettare finché la guerra non sia finita e lui abbia portato a termine il suo ciclo sulla Creazione.
Ma sopraggiunge un nuovo anno di guerra, e la speranza che la primavera porti “prospettive di pace” (Egger-Lienz, lettera a Franz Bunke, 24.12.1914) si rinnoverà ancora per diversi anni.
Al contrario, per Egger-Lienz aumenta ogni giorno la probabilità di essere chiamato alle armi insieme ai suoi coetanei: è una buona ragione per arruolarsi negli Standschützen, le milizie territoriali tirolesi, alla fine di aprile.
“Sono entrato a far parte degli Standschützen su consiglio di Zeiller [lo scultore Ottomar Zeiller] perché questi resteranno senz’altro nel paese ma molto probabilmente saranno equipaggiati militarmente. Si sono dimostrati disponibili nei miei confronti; il pericolo che mi si tolga dalla compagnia degli Schützen e mi si spedisca direttamente in Galizia sarà così evitato.” (Egger-Lienz, lettera a Otto Kunz, 10.5.1915)
La paura di Egger di finire in Galizia è comprensibile, visto che qui si continuano ad avere perdite incalcolabili; il 22 marzo 1915 cade anche la fortezza di Przemysl e vengono fatti prigionieri nove generali, 2.593 ufficiali e 117.000 soldati – tra questi, Max von Esterle e August Frech, che resteranno prigionieri in Siberia per sei anni. Quanti quadri non sarebbero stati mai dipinti, quante opere non sarebbero mai nate, se un tale destino fosse toccato anche ad Egger-Lienz …
Nel maggio dello stesso anno fu compilato il “Documento di registrazione del battaglia di Bolzano degli Standschützen” per Egger-Lienz.
“Grado: Standschütze / nome: Prof. Egger Albin Lienz / anno di nascita: 1868 / religione: cattolica / stato civile: coniugato / professione: pittore accademico / istruzione scolastica: scuola elementare – Accademia di Monaco / luogo di nascita: Striebach / luogo di competenza: Bolzano / immatricolato presso il poligono: Poligono principale imperiale e regio Arciduca Eugenio / ha prestato il servizio militare presso: II. Reggimento di fanteria / grado raggiunto: soldato semplice nella riserva / arruolato come Standschütze il: 19 maggio 1915 / assegnato alla: compagnia 1 per la linea del fronte 20 maggio 1915 / impiego: servizio di fanteria”
La “descrizione della persona” si trova già nella “foglio catastale-sottosezione” del 1891.
“capelli: castani / occhi: verdi / sopracciglia: castane / bocca: regolare / mento: regolare / viso: ovale / segni particolari o eventuali infermità dopo il protocollo assenza: debolezza fisica / parla: tedesco / scrive: come sopra / statura in metri: 1.68 / misura della calzatura: 12”
Il 20 maggio Egger-Lienz con la sua unità arriva al confine presso il lago di Garda, prima alla frazione di Campi a nord-ovest di Riva, e da lì al vicino forte di Tombio. Già due giorni dopo l’arrivo – il pittore è incaricato di scavare trincee e mascherare le casematte – il Regno d’Italia finora alleato dichiara la guerra all’Austria-Ungheria.
“La dichiarazione di guerra dell’Italia. Vienna, 23 maggio. […] il 4 maggio l’Italia ha comunicato al Governo austroungarico i motivi per i quali, fiduciosa del suo buon diritto ha considerato nullo e senza effetto il trattato d’alleanza con l’Austria-Ungheria, violato dal Governo austroungarico. […] il Re dichiara di considerarsi in stato di guerra con l’Austria-Ungheria da domani.” (Bozner Zeitung, 25.5.1915, pag. 1)
Egger-Lienz racconta alla moglie del suo soggiorno presso il forte di Tombio:
“Sono stato per 14 giorni in prima linea sul fronte del fuoco con gli Standschütze […], tra il rimbombo dei cannoni, anche dal nostro forte si sparava. La guarnizione a cui appartenevo anch’io non ha però avuto bisogno di entrare in azione. Ma tutti erano in attesa. I nostri confini sono fortificati a tal punto che gli italiani non potranno mai entrare senza dover arretrare insanguinati.” (Egger-Lienz, lettera a Laura Egger-Lienz, 14.6. 1915)
Dopo queste due settimane un medico militare certifica a Egger “un’insufficienza cardiaca nel camminare in salita” – e senza dubbio ebbe il suo peso anche il fatto che si trattava del più celebre artista del Tirolo – cosicché fu dichiarato inabile, e il Ministero della guerra dispose che divenisse consulente artistico presso l’Ufficio per gli affari di guerra a Bolzano. “Mi occuperò solo di cose artistiche [in qualità di] civile, e come tale posso fare di più per la Patria.” (Egger-Lienz, come sopra)
Fanno parte dei “servizi artistici” per la patria soprattutto schizzi per cartoline di guerra e illustrazioni per il giornale “Tiroler Soldatenzeitung”, il cui obiettivo anche sotto la redazione di Robert Musil (luglio 1916 – aprile 1917) è il seguente:
“Deve restare coraggioso, mantenere uno spirito asciutto e una giusta serietà, odiare il nemico e amare l’imperatore e la Patria.” (Tiroler Soldatenzeitung, 6.8.1916, pag. 3)
I motivi rispecchiano in gran parte le rappresentazioni correnti, che tendono a minimizzare: è il caso, tra l’altro, delle innumerevoli “mostre di immagini di guerra” dell’ufficio stampa di guerra imperiale e regio, a partire dall’autunno 1915: partenza, guardia sulle Dolomiti, riposo della pattuglia sulle Dolomiti, mitragliatrici a 3000 m d’altezza, tirolesi nel combattimento a fuoco, posta militare in alta montagna, il più vecchio e il più giovane, venerazione davanti al busto dell’imperatore ecc. In questi lavori l’artista si rifà in parte ad alcune delle sue opere precedenti, per esempio Ave Maria nach der Schlacht am Bergisel (Ave Maria dopo la battaglia sul Bergisel, 1894/96) e Haspinger Anno Neun (Haspinger anno nove, 1908/09). In alcune opere applica anche il suo parallelismo ispirato a Hodler: ad esempio, nella rappresentazione della prima neve sulle Dolomiti, in cui i soldati che trasportano travi sembrano eseguire una danza.
Altrettanto ritmico, ma con un effetto più marziale, è lo schieramento degli eroi nell’omonimo quadro e nella litografia del 1915, creata dall’artista su commissione della società promotrice delle belle arti di Vienna.
“Il popolo armato dell’Austria e della Germania respinge il nemico come una potenza invincibile, un muro impenetrabile. Ho dovuto rinunciare a una caratterizzazione intima delle persone per rendere efficace l’aspetto simbolico, sempre centrale in questi casi. Risolutezza, forza, incedere alato, ecc. (Egger-Lienz, lettera ad Heinrich Hammer, 5. 11. 1915)
Il pittore si stacca da questo stile eroico accentuato nel gennaio/febbraio del 1916, quando nella sua funzione di “pittore di guerra in borghese” in Folgaria presso Rovereto ritrae le postazioni austriache tra le rocce alpine, con una equilibrata miscela di costruzione e spontaneità. In maggio dedica anche un suo dipinto allo schieramento austriaco presso il castello del Buonconsiglio a Trento, e in seguito ha l’opportunità di assistere all’offensiva austriaca presso Aldeno, a sud di Trento.
“La nostra riuscita offensiva contro l’Italia […] Conquistate altre postazioni italiane. 12 ufficiali e più di 900 soldati fatti prigionieri, 18 cannoni e 18 [più avanti si parla di 1800] mitragliatrici sottratti. Menzogne italiane sulle ‘perdite spaventose e incredibili’ delle nostre truppe, per mascherare la propria ritirata (Bozner Zeitung, 19.5.1916, pag. 1)
Molto diverse sono le impressioni scritte da Egger-Lienz nel suo saggio Esperienza di guerra dell’artista. Per l’orrore dei campi coperti di morte non trova parole, ma le sostituisce con lineette.
“I campi di battaglia sulle vaste alture del Col Santo e del Coston somigliavano a un campo scavato dall’aratro, tutte le tracce del lavoro umano sono state cancellate. Trincee, fortificazioni, dove sono? Una grande bufera ha raso tutto al suolo. Qui un fucile incurvato come una spirale, là una cartolina illustrata – qui – un elmetto d’acciaio, e qui – – qui – – –” (Frankfurter Nachrichten e Intelligenzblatt, 1.8.1916)
Da questa esperienza diretta e incisiva, Egger crea nella solitudine del suo atelier le opere Ai Senzanome 1914, Campi di cadaveri, Missa eroica e Finale:
nella sua monografia su Egger-Lienz, Wilfried Kirschl ha descritto dettagliatamente come sono nati i dipinti: come cioè l’artista, partendo da un’opera, crea la successiva, fino al finale che segna un ultimo, insuperabile punto.
Nel monumentale dipinto Ai Senzanome 1914, di 243 x 475 cm, più volte modificato – il titolo originario Uhnow 1914 faceva riferimento alle rovinose battaglie in Galizia – il pittore riassume in un certo senso tutti i quadri di guerra dipinti finora, da Croce (1898–1901) ad Haspinger Anno Nove (1908/09) da Eroi (altro titolo: La guerra) (1915/16) fino ai dipinti che precedono immediatamente Uhnow 1914 (1915). Nel contempo, il suo caratteristico processo creativo, che spesso si protrae per anni, condensando i risultati finora conseguiti, raggiunge il compimento perfetto. Sia il parallelismo delle figure, sia la struttura diagonale con funzione dinamica, sono già accennate nell’opera Croce e già del tutto evidenti in Haspinger. Ma qualsiasi morbidezza nella modellatura, tutti gli elementi convenzionali e stereotipati che traspaiono talvolta nelle opere di Egger della fase intermedia, lasciano ora il posto a una rigorosa strutturazione finalizzata all’espressione. Come afferma convinto lo stesso Egger, “le mie intenzioni non sono mai state tanto chiaramente in sintonia con la mia capacità artistica” (lettera al Dr. Eisler, 26.2.1917). In un’annotazione a matita esprime il suo intento principale nell’opera Ai Senzanome 1914.
“È l’affanno tormentoso dell’uomo affaticato fino allo stremo delle forze – è ‘l’azione’ che è in grado di rammentare per noi e i nostri nipoti il soffio atroce di quello che è stato allora il nostro tempo.”
Quando, nel 1917/18, l’opera è presentata in mostre a Bolzano, Monaco di Baviera, Innsbruck e Vienna, suscita più volte scalpore.
“E, pure partendo dalle condizioni esistenti [di spazio limitato], siamo colti dall’impatto di queste tremende ondate d’assalto che si avvicinano con fragore in un ritmo ripetuto, come una possente fuga. Ogni volto riflette una parte della forza primigenia dirompente e selvaggia, ogni movimento è prigioniero del grande ritmo, in ogni schiena si disegna un’onda del flutto travolgente che dovrà riaffiorare dall’orizzonte lontano, non appena si sarà infranto quello più vicino!” (Josef Garber, Die Kaiserjäger im Weltkriege. Zur Ausstellung in den Stadtsälen (I cacciatori imperiali nella guerra mondiale. Sulla mostra nelle Stadtsäle), in: Allgemeiner Tiroler Anzeiger, 31.1.1918, pag. 1)
All’inaugurazione della mostra I cacciatori imperiali nella guerra mondiale a Innsbruck il 2 febbraio 1918 giunge l’Imperatore Carlo in persona.
“Dopo le loro opere, davanti alle quali si erano raggruppati gli artisti, l’imperatore ha parlato anche di queste, soprattutto quelle che Sua Maestà conosceva già […]. Il professor Albin Egger-Lienz davanti al suo dipinto monumentale ha avuto l’opportunità di presentare a Sua Maestà le idee guida e le motivazioni che l’avevano spinto.”(Österreichische Illustrierte Rundschau, 1918, n. 47, pag. 919)
Non si sa se l’ultimo imperatore d’Austria dimostrò più comprensione per il dipinto di quanto non avesse fatto 10 anni prima l’erede al trono con la Danza macabra. Comunque sia, il museo di storia militare lo acquistò soltanto 10 anni dopo la morte dell’artista (1926.)
I morti accatastati de I campi di cadaveri e Missa Eroica (più tardi lacerato da Egger) e soprattutto i cadaveri spaventosamente distorti di Finale esprimono il “soffio atroce” della guerra in modo ancora più drastico delle anonime macchine-soldato che avanzano in Ai senza nome. Il pittore mostra queste opere al pubblico soltanto dopo la guerra; Finale è esposto a Zurigo per la prima volta nel 1919. La risonanza è ancora una volta enorme; persino in Francia i quadri di guerra di Egger riscuotono la massima ammirazione.
“La Francia possiede un pittore della guerra paragonabile a un Barbusse e a un Roland Dorgelésper nell’ambito della letteratura? Io non conosco nessuno. […] Invece l’Austria ne ha uno che è riuscito a cogliere l’orrore della carneficina e i cui lavori precedenti avevano preparato la strada fino a quest’opera: A. Egger-Lienz […]. Le ultime due opere sono a mio avviso le più grandi e belle. Missa eroica ci mostra il cratere scavato da una granata, uomini perduti, lasciati a terra, piegati dal dolore, diventati una sola cosa con la terra. Poi questo Finale, in una tonalità verdognola e omogenea, slavata, sfocata come la morte, espressione intensa dell’inutilità, dell’assurdità del gigantesco massacro.” (A. du Brief, Egger-Lienz, in: Journal du Peuple, Parigi, 5.11.1927)
A differenza delle opere di Otto Dix o Georges Grosz, ma anche, per restare tra gli artisti austriaci, dei disegni di Klemens Brosch, i quadri di guerra di Egger, in base alla sua comprensione, non nascono come immagini accusatrici – sebbene abbiano questo effetto – non diversamente dal ciclo di Gerhart Frankl In Memoria (1964/65), dedicato ai prigionieri dei campi di concentramento nazisti morti di fame e assassinati. È significativo il fatto che la cappella commemorativa che decorò a Lienz nel 1925 sulla base dei suoi precedenti dipinti di guerra fu in primo momento rifiutata energicamente. Ed è altrettanto significativo che all’esposizione di Egger-Lienz del 1940/41 nella Galerie Welz a Vienna il Finale fu esposto in una stanza a parte e fuori catalogo, perché si temeva che suscitasse scalpore per il suo carattere latente di “incitamento alla diserzione” (cfr. Kohlfürst 1999).
“Perché al di sopra di tutta la vergogna della guerra sta quella degli uomini di non volerne più nulla sapere, accettando che ci sia, ma non che ci sia stata. A quelli che l’hanno vissuta essa è sopravvissuta e se anche le maschere durano oltre le Ceneri, tuttavia l’uno non vuol parlare dell’altro.” (Karl Kraus, Gli ultimi giorni dell’umanità, Vienna 1922, prefazione)
L’analisi critica di Egger sulla guerra non termina alla fine di questa. Se i Ciechi (1918/19) che seguono la Danza macabra anno nove segnano un ulteriore rafforzamento dell’accettazione del destino e la mancanza di prospettive dell’uomo, Protest der Toten (protesta dei morti, 1920–25) rappresenta una “dimostrazione dei morti di guerra contro la guerra, pacifistica ma del tutto imparziale” (Adalbert Muhr, colloquio con Egger-Lienz, in: Neues Wiener Journal, 22.8.1925). In Donne della guerra (1918–22) l’artista tratta infine un aspetto altrimenti spesso represso: nella consapevolezza disillusa di aver patito la guerra senza poter minimamente aver voce in capitolo, nel dolore per i loro mariti e figli morti sul campo di battaglia, i volti delle donne appaiono impietriti come maschere di legno contratte dal dolore.
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